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Diversamente C.H.E.F.: il profumo dei ricordi

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Il brodo di Natale condito da un aneddoto d’infanzia

L’atmosfera natalizia è sempre stata legata a qualcosa di magico e affascinante. Nella mente di un bambino inoltre può lasciare a volte tracce indelebili che, col passare del tempo, si tramutano in bellissimi ricordi. Reminiscenze che ogni tanto tornano a galla, riaffiorando dalla moviola della fantasia come un provvidenziale antidoto agli affanni e alle inquietudini che affrontiamo ogni giorno. Il fascino del presepe fatto in casa, il caleidoscopio degli archi di luci colorate nelle vie del paese e quello strano cubo di cartone azzurro che gli adulti chiamavano panettone, sono solo alcuni degli ingredienti peculiari del mio tradizionale menu di Natale quando ero bambino.

La preparazione del presepe era un vero e proprio rito al quale io e mio fratello iniziavano a lavorare fin dall’inizio di dicembre. Lo allestivamo sempre nel pianerottolo situato a metà strada delle rampe di scale che portavano alle camere da letto. Senza contare l’orgoglio con il quale lo mostravano agli amici e ai parenti che venivano a trovarci. Tra i beni di lusso dell’epoca figurava naturalmente anche il panettone che, sebbene già da qualche anno facesse capolino nelle prime edizioni di “Carosello”, era presente solo sulle tavole delle famiglie benestanti. In casa non mancava nulla, e lo stipendio di papà era più che adeguato per mantenere dignitosamente una famiglia di quattro persone, ma non giravano molti soldi. Tuttavia ogni anno l’immancabile “zio d’America” che tornava dal Venezuela per le vacanze natalizie ci regalava sempre un panettone. Ma con l’arrivo del Natale c’era un altro elemento, forse il più caro perché intimamente legato all’amore per la mia mamma, scomparsa alcuni anni fa, che rievoca come nessun altro nella mia mente l’atmosfera più autentica e genuina della felicità della spensieratezza legata all’infanzia: il Brodo di Natale, quello classico dell’antica tradizione gastronomica abruzzese.
Quando aprivo gli occhi la mattina del 25 dicembre, la mia cameretta era già permeata dai magici odori provenienti dalla cucina.  Quel profumo, familiare e irresistibile, mi metteva subito di buonumore e suscitava sul mio viso un sorriso carico di serenità che lasciava preconizzare una giornata di allegria e di festa assieme ai miei cuginetti.

Prima di iniziare quello che ormai era diventato il mio impegno fisso della mattina di Natale, mi tuffavo nel classico rituale che precedeva il mio intervento. Facendo attenzione a non rovesciare tutto, e a non sbilanciarmi troppo rischiando di cadere dallo sgabello, mi avvicinavo al vassoio della carne arrivando col naso a pochi millimetri dal trito di suino e, dopo un attimo di pausa e di concentrazione, simile a quella dei campioni di sci in procinto di lanciarsi dal trampolino olimpico, lasciavo  inebriare i miei recettori olfattivi. Una valanga di odori e fragranze defluiva velocemente attraverso le mie narici. Quando batteva i dodici rintocchi di mezzogiorno, sanciva una sorta di “time out” nella preparazione del Pranzo di Natale. Da quel momento tutto doveva essere pronto e le uniche manovre consentite erano quelle relative alla mise en place del tavolo, allestito con i piatti e le stoviglie delle grandi occasioni, sapientemente abbinati con la tovaglia del corredo della nonna, tessuta in puro lino e ricamata a mano con motivi floreali. Anche il servizio aveva una scaletta precisa, e inderogabile, basata su un rigido protocollo non scritto che veniva tramandato da generazioni nella tradizione patriarcale dell’Italia centromeridionale di quegli anni. Il primo ad essere servito era il nonno, boss indiscusso e padrone del vapore della situazione, poi venivano nell’ordine il capo famiglia di casa (il mio papà), il primo figlio maschio del nonno (mio zio) e in seguito, in ordine sparso, le donne e i bambini. Io, essendo il più piccolo, praticamente ero quasi sempre l’ultimo in fondo alla lista, ma la mia posizione sulla griglia di partenza natalizia non mi pesava affatto talmente era grande l’aspettativa per gustare il sospirato “Brodo di Natale”, un piatto memorabile che acquietava la fame, scaldava il cuore e nutriva l’anima. Grazie Mamma!

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