Search for content, post, videos

L’intervista: Alessandro Borghese e il Lusso della semplicità

Lo abbiamo incontrato nel suo ristorante per scoprire che cos’è per lui l’alta cucina

È uno dei cuochi più conosciuti e amati della televisione italiana, un pioniere del genere dell’intrattenimento culinario, è in pista da quasi dieci anni e l’entusiasmo non sembra ancora essergli passato: stiamo parlando di Alessandro Borghese, che ci ha incontrati nel suo ristorante milanese, Il Lusso della Semplicità, in Viale Belisario 3, per raccontarci la sua filosofia di cucina e le sue speranze per il futuro della ristorazione italiana, televisiva e non. Ci ha accolti con un cappellino colorato e grandi strette di mano e siamo andati subito al dunque. Alessandro Borghese è esattamente come lo vediamo sul piccolo schermo: sicuro di sé, appassionato, gesticolante. Sa come polarizzare l’attenzione dei presenti e soprattutto è estremamente consapevole di quello che dice e di cosa rappresenta.

Mi diverto a fare quello che faccio

-Alessandro Borghese

 

La prima battuta è su quello che ci accomuna: il suo ristorante, infatti, come dicevamo, si chiama Il Lusso della Semplicità; il motto del nostro magazine, invece, è “Lusso Accessibile”. “Mi avete copiato” commenta ironico e divertito il cuoco di 4 Ristoranti e poi aggiunge, più serio: “Il mondo dell’alta cucina è, abitualmente, elitario. Secondo me deve essere accessibile a tutti quanti. Il vero lusso è potersi permettere di mangiare determinate cose più volte durante l’arco della settimana o del mese, non deve essere visto come una cosa irraggiungibile, che solo pochi possono ottenere, anche perché io sono un cuoco del popolo. Faccio alta cucina, ma vivo in mezzo alla gente comune grazie anche ai miei programmi. Sono sempre stato molto vicino all’idea comune di cucina, non sono mai stato uno chef snob e distante. La cucina è una cosa quotidiana, noi non facciamo i cardiochirurghi, facciamo gli chef. La cucina non è mai semplice, presuppone una certa tecnica, una certa conoscenza e una certa maestria, però tutti devono potervi accedere. Il lusso sta nel contesto, nella lavorazione del piatto, nel modo diverso di vivere e pensare anche la cucina più popolare, considerata da trattoria”.

 

Alessandro Borghese il Lusso della Semplicità: “Semplice non vuol dire facile”

Insomma, è chiaro, Alessandro Borghese è un cuoco rockstar il cui desiderio è che i fan possano partecipare al suo concerto, che è fatto di sapori. Ma è anche un abile comunicatore e un imprenditore, che si è circondato di una squadra forte per portare in tavola una grande qualità a un pubblico vasto e che non rinuncia alle contaminazioni internazionali, sempre partendo dalla cosa più importante di tutte: lo stomaco, inteso come intuito, come slancio, come impeto e come passione prima ancora che come gusto e come sineddoche per l’atto stesso del mangiare. Con un’attenzione particolare al cliente. “Mi diverto a fare quello che faccio” ci confessa, ed è evidente. “Prendo un pollo che magari si mangia in insalata in un bar e dico: facciamolo diventare un po’ più sofisticato, magari un pollo ai peperoni, come si mangia a Roma. Lavoriamo sullo studio del piatto e andiamo a cercare una determinata tipologia di peperone che abbia una storia e un polletto livornese allevato in una certa maniera. L’Italia è piena di questi prodotti qua. L’ultimo passaggio è la comunicazione: il cliente percepisce la mia cucina come semplice ma allo stesso tempo sofisticata. Semplice non vuol dire facile, vuol dire di facile comprensione per il cliente, che non è spaventato nel provare cose nuove e che riesce a capirle anche con il palato. Questa è la mia chiave di lettura: non devi aver bisogno di essere uno scienziato della cucina per capire la mia”.

Il focus è, dunque, sugli ingredienti e sulla cucina italiana, ma senza limitarsi troppo: “Sono uno chef che ha viaggiato in tutto il mondo, non sono estremista. Se un’acciuga del Cantabrico è più buona prendo quella, se trovo delle cozze più buone da un’altra parte prendo quelle. L’importante è che lo comunichi e che la mia filosofia sia chiara al cliente. Ovvio, cerco di aiutare la mia economia gastronomica: con 4 Ristoranti ho la fortuna di andare in giro per tutta l’Italia, di conoscere realtà gastronomiche e di portarmi in casa delle sacche nascoste di prodotti, poi però viaggio. Vado alle Mauritius e scopro che c’è un produttore locale che fa un caviale eccezionale e dico ‘Caspita! Lo devo provare’ e lo porto al ristorante e lo faccio provare agli amici. Il bello del mondo della cucina è questo: ampio, bellissimo, di pancia. Bisogna usare meno testa ogni tanto. I cuochi stanno facendo troppa cucina di testa”. Ci tiene a precisare, però, che, nonostante non tutto il Made in Italy sia vero Made in… la sua impostazione in cucina è fortemente italiana, e lo conferma anche quando gli chiediamo di guardare nella sfera di cristallo e di dirci cosa prevede per il futuro dell’intrattenimento culinario e della cucina italiana in generale.

 

“Vorrei che più giovani aprissero locali di cucina italiana. Spesso tanti cuochi giovani viaggiano, girano il mondo, tornano in Italia e fanno fusion. Mi piacerebbe invece vedere più ristoranti di cucina regionale. Ovviamente ci vuole bravura. Ci vuole comunicazione. Però è anche un impulso che deve venire dal cliente. Mi piacerebbe sentire meno ‘Andiamo al sushi’ e più ‘Andiamo al marchigiano'”. E – benevolo padre di tanti piatti, che sono i suoi figli – interrogato su quale sia il suo cavallo di battaglia culinario, non riesce a sceglierne uno solo, tirando fuori ancora una volta quella passione innegabile che lo anima, e che forse è proprio il suo segreto, la sua porta d’accesso al cuore degli italiani: “Sono conosciuto per la mia cacio e pepe ma anche per la mia guancia di vitello, per il mio purè col burro acido. Ho tantissimi piatti che potrebbero essere considerati iconici. Un cuoco non ha questo tipo di mentalità”.

“Ad esempio adesso sto in fissa col nuovo piatto che ho in carta, che ho voluto chiamare ‘Il polpo alla brace… Il polpo che piace’. Stasera invece c’è il piccione. Ogni volta mi innamoro di un piatto diverso, è questo il bello, è questo amore che ti fa andare avanti nello sviluppo di nuove ricette. Poi aspetto il riscontro del cliente. Quando c’è un piatto nuovo sono sempre impaziente di farlo uscire e di avere il feedback di chi lo mangia”. Si dice spesso che la televisione cambia chi la fa. Che esiste un confine preciso tra il professionista e il personaggio televisivo. Secondo Alessandro Borghese, almeno nel suo caso, non è così: “Quando sto in cucina sto in cucina, quando sto in televisione sto in televisione, ma sono la stessa persona. Non c’è distinzione. Sono andato in televisione grazie alla mia cucina, non viceversa. Sono un precursore, i miei programmi hanno aperto la strada a quello che poi è diventato un trend, ma c’è ancora tanto da sperimentare”.

Priscilla Lucifora

Scopri questo e altri contenuti esclusivi sfogliando Luxury Prêt-à-porter Magazine | Summer Edition