Search for content, post, videos

Diversamente C.H.E.F.: il pangasio, un pesce d’acqua dolce

Indietro1 di 4

My Fair Pangasio: da brutto anatroccolo del Mekong a cigno gourmet

Uno dei film più noti e premiati (8 Oscar) dell’epoca d’oro di Hollywood, a cavallo tra gli anni Sessanta e la prima metà degli anni Settanta, è senz’altro My Fair Lady. Interpretato  dal talentuoso e raffinato Rex Harrison e dell’algida e affascinante  Audrey Hepurn., il film è uscito nelle sale nel 1964 e rappresenta ancora oggi la massima superproduzione (70 mm, 6 piste sonore) mai realizzata all’epoca. La pellicola, ispirata al testo teatrale del “Pigmaglione” di George Bernard Shaw, è un musical che ruota attorno alla figura di Henry Higgins, un professore aristocratico e misogino, studioso britannico di fonetica (Harrison) che scommette una grossa cifra con un suo amico colonnello su un’impresa ritenuta impossibile: trasformare, grazie ai suoi insegnamenti, in sei mesi la rozza e incolta fioraia londinese Eliza Doolittle (Hepurn) in una dama elegante e raffinata, in grado di muoversi a proprio agio anche nei più esclusivi salotti della capitale inglese degli inizi del Novecento. Arrivando persino ad essere scambiata per una duchessa al tradizionale ballo annuale dell’ambasciata. Naturalmente l’esperimento, nonostante le difficoltà iniziali e gli estenuanti tentativi di portare a termine l’impresa (spesso vicina al fallimento) riesce. E il professore vince la sua scommessa. Alla fine della storia sboccia anche l’inevitabile storia d’amore tra i protagonisti, all’insegna dell’immancabile chiusa “e vissero felici e contenti” che rappresentava abitualmente l’epilogo della maggior parte dei feuilleton hollywoodiani. Questa pellicola, ricca inoltre di suggerimenti di bon ton a tavola, ha ispirato la nascita di una singolare ricetta che vuole riproporre un percorso analogo a quello del professor Higgins, trasformando un pesce bistrattato e di umili origini in un piatto gourmet in grado di affrontare anche i palati dei foodies più esigenti.

Il protagonista del piatto è il pangasio, un pesce d’acqua dolce che vive soprattutto nelle acque del Mekong, in Vietnam, oltre ad essere diffuso anche in altri Paesi della penisola indocinese (Thailandia, Laos e Birmania) nei quali svolge un ruolo determinante nell’economia d’esportazione e nello sviluppo economico dell’intera area. In Italia non ha mai goduto di una buona considerazione, al punto che alcuni anni fa è stato persino ritirato dalle maggiori catene di supermercati per svariati motivi. Ingiustamente considerato un pesce ad alto rischio di inquinamento, il pangasio è stato completamente “assolto” da ogni sospetto di contaminazioni, sia chimiche che per quanto riguarda eventuali residui antibiotici, oltre naturalmente all’assenza di altri inquinati microbiologici o di origine industriale.

Foto: Ufficio Stampa

L’utilizzo del pangasio si rivela inoltre una scelta perfettamente in linea con le attuali tendenze bio ed ecologiste. E soddisfa appieno anche le frivolezze green o le stravaganze dietetiche dei più irriducibili ecofoodies grazie a diversi fattori che vanno dalla sua alimentazione (pur essendo onnivoro, si nutre prevalentemente di materia vegetale e mangia poco) ai bassi costi di allestimento degli allevamenti che garantiscono un utilizzo ridotto di mangimi e una sensibile contrazione dei prodotti residui; fattore quest’ultimo ulteriormente esaltato dall’elevata resa del pangasio (attualmente esportato in oltre 150 paesi in tutto il mondo) che fornisce molta carne a fronte di ridotti volumi di scarto. E’ stato calcolato inoltre che la quantità di energia utilizzata per gli allevamenti è inferiore a quella necessaria per la cattura del pescato selvatico. Allora perché questo pesce del Mekong, nonostante ripetute analisi non abbiano riscontrato problemi per l’alimentazione umana, continua ad essere bersagliato da feroci e svariate critiche? La risposta è molto semplice: perché costa poco, troppo poco! E alle attuali condizioni di mercato (5/6 euro al chilo), non appaga i palati dei raffinati gourmand. Pronti a spendere dieci o venti volte tanto (e anche di più) per gustare pesci molto esclusivi, molluschi rarissimi o crostacei insoliti pescati dall’altro capo del mondo e approdati ancora freschi sulle nostre tavole.

Leggi anche: Women Food Library: la più grande libreria di food al femminile

Trasformare quindi il pangasio, considerato il brutto anatroccolo del Mekong, in un cigno gourmet in grado di soddisfare anche i palati più esigenti dell’alta cucina riservata al pesce, costituiva per lo chef una sfida decisamente stimolante. E non priva di problemi e difficoltà. Ci sono voluti molti mesi di prove per mettere a punto questa preparazione. E dopo aver scartato almeno una dozzina di tentativi di cotture varie e abbinamenti diversi, finalmente il risultato è stato raggiunto. In perfetto sincronismo per celebrare la 100a ricetta della nostra rubrica “Diversamente C.H.E.F”.

 

 

Indietro1 di 4